L’atomica dolce

Una piccola alba rosa, dietro il pudico paravento di un paio di case,
una coppia di alberi, là, alle sei; un colore di carne, di fiori;
un’atomica dolce;
“e pensa a quello, dice il bambino, che abita dietro i palazzi,
e ha l’alba in giardino”;
la riguardo, ha preso d’arancio,
e un’ogiva nella cresta degli alberi è diventata
un sole in sedicesimo, edizione limitata
stelle ad ogni foglia
pillole lucenti su lingue verdi
un tondo d’agrume in un latte di pompelmo
mi viene il capriccio / di andare casa per casa / ad avvertire

Il mondo può stare

Il mondo può stare
In una parola, in effetti
O in poche, come
Un motto
O
Uno slogan
Lo spazio d’una maglietta

Può stare meno
Agevolmente
In una preghiera
Il mondo non abita
Nei romanzi.

(Orsi impagliati)

Sovrastrutture carnali, architettoniche, caratteriali, sociali, letterarie: corpi di fabbrica successivi – discontinuità – suicidi – traslazioni sufficientemente fonde e lunghe da risultare equivalenti a prime sepolture, prime pietre, prime notti, opere prime – decessi – nomi di malattie, referti – profezie – presagi – sottotetti, fondamenta, porticina dello scantinato con ragnatela di crepe in esergo, baffi di muffa glutinosa grigia, lampada ingabbiata che getta luce grigliata, fioca, atta a non tradire il crepuscolo costruttivo della malta scagliosa – scolaresche, con nugolo di interfacce zaino-polo-pelle e fasi carnose, sudate, nailoniche, con serigrafie di orsi impagliati, fantasie di fiori, edicole liberty, circuiti integrati, notazione occidentale moderna, bioritmi tricolori a nastri da ginnastica artistica, Grandi Bianchi con occhiali neri, et cetera – diete dell’anima virate a trionfi mistici, solitudini da shopping, romitaggi in ufficio, umorismi cinici assorbiti come inchiostri tossici da tessuti di contrabbando, roteare d’occhi, sbarbarsi meticoloso, rimasticature quotidiane di libri mal letti (…)

Il mio giorno è un mare

Il giorno è un mare.
Il mio giorno è un mare.
La superficie del mio giorno
È un epitelio d’acqua.
Non confina, e non termina:
il mare di oggi si getta
nel domani, insensibilmente.
Sotto la superficie naviga,
mobilis in mobili, un sottomarino.
Uno scafo argenteo affusolato
Di cui i pescatori non si accorgono.
I pescatori pescano il cibo;
nel sottomarino c’è il mio spirito,
e c’è la mia idea.
Senza i pescatori, col loro sudore,
e le reti, io non mangerei, e non potrei vivere.
Senza il mio scafo argenteo,
io non avrei fame.
Ci spostiamo sulla corrente, tutto il giorno,
passiamo sotto il tramonto, ed insensibilmente trascorriamo
nella notte, che termina al fuoco dell’alba, come un fiammifero nero.
Bado a che la flottiglia non sia turbata dall’emergere dello scafo d’acciaio,
che le reti non ostacolino la traiettoria delle eliche.
Non abbiamo ancora incontrato i sargassi.

Simile ad un ventre è questo giardino

Simile ad un ventre è questo giardino
Chiuso da ogni parte dalla membrana
Della siepe
Ottusi sono i suoni dalle branchie d’albero
– L’utero deve evidentemente
corrispondere al cancello,
le fimbrie alla pensilina con l’edera –
L’aria giunge per un corridoio di muri
a secco, filtrata come si conviene
Lattigine non ce n’è, ma questo
Colloide, i pappi e i pollini
Che solcano il vuoto indipendenti
Dal vento, sono splendida truffa
E forse scambiando il venturo per il
Primevo
Il mio anziano, un libro più citato che letto
Abbandonato in grembo,
Cala la testa bulbosa sul petto
Secco, e gli occhi grassi di feto
Gli si chiudono in un sonno d’attesa

Dress-down Day

Fortunale di vento sui campi;
Dalla camera mi esercito
A distinguere le folate
Dagli schiocchi dei tendoni –
Il polso che la forza invisibile
Trasmette alla tela, calando
Dalla piattaforma di nembi.
Pare d’essere in un faro,
Privati dello scopo di chi
Abita veramente il faro.
Senza attracchi. Senza rifornimenti di cibo,
con ceste da palpare e fiaschi da fasciare.
Senza il brivido della bonaccia e la certezza
della lampada oscillante.
Senza il bastimento che di laggiù,
doppiando al traverso gli scogli,
sbuca dal fosco del fondale, e.
Non so pregare l’assenza del mare.

Temperatura della penna

Quell’esatta temperatura interiore nell’appressarsi al foglio o allo schermo – che un grado sotto, non è nulla, cartaccia, falso allarme; e un grado sopra vien tutto molle e patetico e mentre scrivi cancelli, e poi sfuma, e rinunci, e salvi magari (appena) qualcosa per i biglietti d’auguri; e due gradi sopra, è violento e tutto spigoli e cinico – e scrivi imprecando e alla fine salvi tutto per un equivoco di rabbia ma non rileggi mai più.